ROMA, 30 OTT – Sostenibilità, innovazione, gestione della filiera. Passa da qui la sfida per riprogrammare il futuro della pesca italiana, chiamata a fare i conti con la diminuzione dei giorni di pesca, delle barche e degli occupati. “Occorre un cambio di registro per evitare che tra 15 anni sulle nostre tavole ci siano solo vongole del Pacifico e gamberi vietnamiti, con barche vuote e ferme in porto perché nessuno vuole fare più il pescatore”, afferma l’Alleanza Cooperative pesca all’assemblea delle cooperative agroalimentari e della pesca. Il 75% della produzione ittica nazionale, ricorda l’Alleanza, percorre meno di 25 chilometri dallo sbarco alla vendita, lasciando all’import soprattutto extra Ue la possibilità di coprire la quasi totalità dell’offerta nella media e grande distribuzione e nella ristorazione collettiva. Delle oltre 90 specie pescate solo una decina prendono un aereo per raggiungere Milano, il principale mercato ittico italiano e sono solo 6 quelle che varcano i confini nazionali, ossia tonno, acciughe, fasolari e vongole. Per la cooperazione, nessuna formula magica ma servono ‘ingredienti’ concreti come le organizzazioni dei produttori, in grado di aggregare e organizzare una offerta ancora troppo frammentata. Le nuove tecnologie per facilitare la trasformazione dei prodotti ittici e dare nuova vita e più valore commerciale ad un prodotto che per il 90% ora è destinato solo al mercato del fresco. E poi, un salto di qualità chiesto ai pescatori che devono diventare a tutti gli effetti imprenditori ittici, gestire la filiera invece di essere, spesso, l’anello più debole. Non ultimo puntare dritto sulla ricerca. Tutto questo, conclude la cooperazione, per evitare che le marinerie si trasformino in un museo del mare. (ANSA).